La stagione del baseball americano è cominciata. Si sente di nuovo "the sound of the crack of a bat" . La stagione scorsa per me è stata la migliore di sempre, perché i miei amati Cubs hanno vinto il titolo dopo 108 anni. Alla prima partita di quest'anno sono tornati alle vecchie abitudini: hanno perso. Adesso sono 1-1, e mancano 160 partite.
Mi innamorai dei Cubs nel 1986, quando ero a Chicago (per la precisione, a River Forest, IL) per un corso estivo d'inglese. Due anni prima erano arrivati in semifinale, ma quell'anno erano già tornati perdenti: anche al college si facevano battute tipo "Ieri i Cubs hanno perso solo 12-2" (era vero) "E' un successo, di solito perdono 12-0". Andai al loro stadio, il Wrigley Field, un pomeriggio, perché allora era le partite potevano essere solo a quell'ora: non c'era l'illuminazione! Era un punto d'orgoglio per loro mantenere la tradizione, rinunciando anche a tante entrate. Prima di ogni partita si fronteggiavano i due schieramenti, pro e contro le luci, con le loro magliette e striscioni. Alla fine, nel 1989 cedettero e introdussero le luci: per l'inaugurazione chiamarono uno dei pochi che ricordasse ancora l'ultimo campionato vinto, nel 1908: era andato per la prima volta allo stadio nel 1906.
Lo stadio era comunque sempre pieno, anche se non proprio esaurito, anche nei pomeriggi dei giorni feriali, con oltre 30.000 persone. La prima cosa che mi stupì, abituato agli stadi italiani, era il fatto che si esaurissero sempre per primi i posti più cari, anche perché la differenza di prezzo era molto meno che da noi: i posti più cari costavano $10,50, i più economici, quelli in piedi, $4. La prima volta trovai un posto in piedi, altre volte riuscii anche a sedermi. Altre caratteristiche tipiche del Wrigley Field erano e sono tuttora l'edera sullo steccato del fuori campo e il tabellone manuale (oggi affiancato, ma non sostituito, da uno elettronico).
Vidi in tutto 4 partite, se ricordo bene il record dei Cubs fu 1-3, ma non ci giurerei. L'unica di cui ricordo il risultato esatto è una sconfitta 13-11 coi Los Angeles Dodgers: i Cubs avevano segnato 4 punti nell'8° inning, andando in vantaggio 11-9, ma poi affrontarono il 9° con una difesa improvvisata e ne presero altri 4, col pubblico che chiedeva la fucilazione del lanciatore (uno diceva questo, ma gli altri cose simili). Pubblico comunque sempre pronto ad esaltarsi anche per azioni degli avversari e che, in caso di decisioni arbitrali contestate, al massimo tirava carta igienica, con grande scandalo dei telecronisti. Altro momento magico era la "seventh inning stretch" (la pausa tra le due metà del 7° inning) dove si cantava la canzone rituale, vecchia di oltre un secolo "Take me Out to the Ball Game" (qui l'ultima versione dello speaker-telecronista storico Harry Caray nel 1997, morirà nel febbraio dell'anno dopo). A fine partita, Caray chiudeva con "Remember that, win or lose, I am a Cub fan, I am a Bud man, and I hope you are too. All'epoca la birra, Budwieser o no, non la potevo neanche bere: l'età minima in Illinois era 21 anni.
Ho visto anche 4 partite dell'altra squadra di Chicago, i White Sox, al Comiskey Park. Una la vidi con alcuni compagni di corso di paesi dove il baseball è sport nazionale, dal Giappone e Venezuela. Era contro i Boston Red Sox, che schieravano il grande lanciatore Roger Clemens. Ma non c'era la stessa magia: "there's no place like Wrigley Field"
Mi innamorai dei Cubs nel 1986, quando ero a Chicago (per la precisione, a River Forest, IL) per un corso estivo d'inglese. Due anni prima erano arrivati in semifinale, ma quell'anno erano già tornati perdenti: anche al college si facevano battute tipo "Ieri i Cubs hanno perso solo 12-2" (era vero) "E' un successo, di solito perdono 12-0". Andai al loro stadio, il Wrigley Field, un pomeriggio, perché allora era le partite potevano essere solo a quell'ora: non c'era l'illuminazione! Era un punto d'orgoglio per loro mantenere la tradizione, rinunciando anche a tante entrate. Prima di ogni partita si fronteggiavano i due schieramenti, pro e contro le luci, con le loro magliette e striscioni. Alla fine, nel 1989 cedettero e introdussero le luci: per l'inaugurazione chiamarono uno dei pochi che ricordasse ancora l'ultimo campionato vinto, nel 1908: era andato per la prima volta allo stadio nel 1906.
Lo stadio era comunque sempre pieno, anche se non proprio esaurito, anche nei pomeriggi dei giorni feriali, con oltre 30.000 persone. La prima cosa che mi stupì, abituato agli stadi italiani, era il fatto che si esaurissero sempre per primi i posti più cari, anche perché la differenza di prezzo era molto meno che da noi: i posti più cari costavano $10,50, i più economici, quelli in piedi, $4. La prima volta trovai un posto in piedi, altre volte riuscii anche a sedermi. Altre caratteristiche tipiche del Wrigley Field erano e sono tuttora l'edera sullo steccato del fuori campo e il tabellone manuale (oggi affiancato, ma non sostituito, da uno elettronico).
Vidi in tutto 4 partite, se ricordo bene il record dei Cubs fu 1-3, ma non ci giurerei. L'unica di cui ricordo il risultato esatto è una sconfitta 13-11 coi Los Angeles Dodgers: i Cubs avevano segnato 4 punti nell'8° inning, andando in vantaggio 11-9, ma poi affrontarono il 9° con una difesa improvvisata e ne presero altri 4, col pubblico che chiedeva la fucilazione del lanciatore (uno diceva questo, ma gli altri cose simili). Pubblico comunque sempre pronto ad esaltarsi anche per azioni degli avversari e che, in caso di decisioni arbitrali contestate, al massimo tirava carta igienica, con grande scandalo dei telecronisti. Altro momento magico era la "seventh inning stretch" (la pausa tra le due metà del 7° inning) dove si cantava la canzone rituale, vecchia di oltre un secolo "Take me Out to the Ball Game" (qui l'ultima versione dello speaker-telecronista storico Harry Caray nel 1997, morirà nel febbraio dell'anno dopo). A fine partita, Caray chiudeva con "Remember that, win or lose, I am a Cub fan, I am a Bud man, and I hope you are too. All'epoca la birra, Budwieser o no, non la potevo neanche bere: l'età minima in Illinois era 21 anni.
Ho visto anche 4 partite dell'altra squadra di Chicago, i White Sox, al Comiskey Park. Una la vidi con alcuni compagni di corso di paesi dove il baseball è sport nazionale, dal Giappone e Venezuela. Era contro i Boston Red Sox, che schieravano il grande lanciatore Roger Clemens. Ma non c'era la stessa magia: "there's no place like Wrigley Field"
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