Dopo 10 anni torno finalmente all'Expo, la mia quinta, dopo Hannover 2000, Saragozza 2008, Shanghai 2010 e Milano 2015. Ho saltato le ultime due: una in una sede un po' disagiata (Astana 2017) e una durante la pandemia (Dubai 2021). La novità di quest'anno è che molti padiglioni sono prenotabili (scoprirò poi sul posto che, di questi, alcuni sono visitabili solo su prenotazione, altri anche senza, sia pure con lunghe code), ma non siamo riusciti a prenotarne neanche uno. C'erano tre turni di prenotazioni: il primo due mesi prima, e non l'abbiamo usato perché non avevamo ancora i biglietti, il secondo una settimana prima, abbiamo provato, ma abbiamo perso tutti i sorteggi, il terzo il giorno prima, e non era rimasto più niente.
Arriviamo quindi (io e i miei due figli) ai cancelli il primo giorno, consapevoli che tanti padiglioni saranno off-limits per noi, ma del resto succede sempre che alcuni, in primis quello del paese ospitante, siano inaccessibili. L'ingresso è scorrevole: distribuiscono degli ombrelli per il sole, che sarebbero solo per la coda all'ingresso, ma mia figlia lo tiene per tutta la giornata (al terzo giorno scopriremo che la cesta dove li abbiamo trovati era in realtà quella per restituirli). I primi padiglioni che incontriamo, quelli all'esterno dell'anello sopraelevato che circonda l'area, sono tutti su prenotazione (tra questi, quello del Giappone): tra le poche eccezioni quello dedicato alle donne, che saltiamo perché segnala una coda di 30 minuti, anche se faccio presente che sono pochi. Il primo padiglione che visitiamo è quello del Portogallo, dopo una coda di quasi un'ora: non grandissimo, ma interessante e dedicato al mare, come ci si poteva facilmente aspettare da questo paese.
Avevamo preso in considerazione di mangiare al ristorante del padiglione portoghese, ma sono già quasi le 14 e ha già chiuso la cucina. Mangiamo in un "food court" nei dintorni, con tanti chioschi, quasi tutti asiatici: c'è folla, ma si trova posto a sedere. All'uscita, guardiamo con curiosità il grande padiglione del Turkmenistan, ma la coda ci scoraggia. Visitiamo invece quello del Bahrein: niente di particolare, ma offre una panoramica del paese e della sua storia, con molto spazio alla tradizione delle perle.
Arriviamo a uno dei padiglioni che attendevamo di più, quello dei "nordici", che comprendono il paese dove vive mio figlio, la Svezia, assieme a Danimarca, Norvegia, Finlandia e Islanda. Si rivela la più grossa delusione dell'Expo: piccolo, senza un filo conduttore, dove cinque paesi con molte differenze e fortissime rivalità vengono trattati come fossero la stessa cosa. Ricordo che a Milano il padiglione della sola Svezia era almeno quattro volte più grande.
Va meglio con la Cechia (adesso si può dire ufficialmente così), uno dei padiglioni più originali: si tratta di una torre, che si sale a spirale, piena di curiose opere d'arte moderna. Si può anche fare un duello con burattini comandati da sotto che brandiscono una spada. In cima c'è un bar: ci prendiamo una birra (e facciamo foto, vedi sotto). Evitati Cina e Kuwait per via della coda, proseguiamo con il Brasile, che un po' di coda ce l'ha, ma in una mezz'ora si entra. C'è una prima sala, tutta bianca, che penso voglia riprodurre una foresta tropicale, e per un po' credo che sia tutto lì è penso "carino, ma che significa?" Poi scopro che ci sono altre due sale, con foto e video, molto interessanti.
Torniamo da dove siamo venuti, dobbiamo saltare Austria e Svizzera, in quanto solo su prenotazione, e concludiamo con la Colombia, che si rivela probabilmente il più interessante della giornata, con una panoramica del paese che va dalla fauna alla letteratura. Prima di andare, saliamo un attimo sull'anello sopraelevato, ma siamo troppo stanche per percorrerlo. Sono le 19,30 circa e si sta facendo buio, qui non c'è l'ora legale.