Torniamo all'Expo dopo una giornata agli Universal Studios. Stavolta arriviamo poco dopo il nostro orario d'ingresso, le 11. Si vede già all'ingresso che c'è molta più gente degli stessi giorni, del resto è venerdì. Il primo padiglione che incontriamo è quello del Nepal, ma vediamo solo l'area negozi e ristorante, troppa coda. Tra il caldo e il fatto che è l'ultimo giorno non vogliamo fare lunghe code, quindi ci chiediamo cosa riusciremo a vedere.
Proviamo con la Germania, ma com'era prevedibile ha chiuso la coda. E' invece accessibile la Corea, ed è il padiglione più bello. All'ingresso a ogni gruppo viene chiesto di dire, in una parola, quello a cui tengono di più: parla mio figlio e dice "family", che è la stessa cosa che avrei detto io. Nella prima sala si fanno sentire prima le voci e poi una musica derivata da queste voci. C'è poi un esperimento in cui l'alito viene trasformato in bolle giganti che cadono dal soffitto. Nell'ultima sala si vede un video su una ragazza del 2040 che, con le sue amiche, completa con l'IA un brano musicale del nonno, che era morto mentre lo componeva. Ho le lacrime agli occhi.
Riprendiamo da dov'eravamo arrivati due giorni prima, col padiglione dell'Arabia Saudita. Bell'architettura, che ricorda le costruzioni nel deserto. Il contenuto è l'immagine che adesso il paese vuol dare di sé: tecnologia, bellezze naturali (soprattutto marine), sport, donne che corrono nei parchi senza velo e con pantaloni aderenti. Anche qui, il petrolio non viene mai nominato.
Dopo il pranzo al ristorante spagnolo, molto buono, riprendiamo da un padiglione che mi incuriosisce molto: quello dell'India. L'India, tra i grandi paesi, è sempre stato quello che ha creduto meno dell'Expo: a Milano il suo padiglione era sostanzialmente un mercatino, nelle altre in cui sono stato non c'era nemmeno. Stavolta è un po' meglio, ma non quello che ci si aspetterebbe da un paese delle sue dimensioni: bella architettura, suggestivo, ma senza un filo conduttore. La parte più interessante è ancora il mercato, dove incontro uno che ha lavorato all'Expo di Milano.
Nelle vicinanze ci sono una serie di padiglioni più piccoli: ne troviamo tre con poca o niente coda, Cominciamo da quello che chiamano "baltici", ma nonostante dicano "Baltics are one" in realtà sono solo Lettonia e Lituania, l'Estonia è uno dei tre paesi UE assenti (gli altri sono Grecia e Cipro). Si parla molto delle start-up, apprendo che Vinted è lituana, mentre mio figlio nota l'assenza di Revolut (anch'essa lituana). Si parla anche del basket, soprattutto lituano, che a Shanghai aveva un ruolo centrale (la Lituania era da sola). A seguire, visitiamo Cambogia e Algeria, due padiglioni "turistici", la Cambogia presenta soprattutto i templi. L'Algeria punta molto sulle donne e celebra anche le sue due campionesse olimpiche. Una è piuttosto famosa anche in Italia, si chiama Imane Khelif: penso che loro si stringono dietro di lei, mentre se fosse italiana avrebbe più hater da noi che nei paesi delle sue avversarie.
Visitiamo anche due padiglioni "common". In uno c'è un po' di coda all'ingresso, pensavo per via dei controlli, invece no, quelli all'ingresso dell'Expo sono ritenuti sufficienti. Ci sono infatti due paesi in guerra, che scelgono approcci opposti: Israele ignora totalmente la guerra, anzi parla dei suoi interventi umanitari (altrove) e delle "vite che salva", che nel contesto attuale suona agghiacciante, l'Ucraina invece ne fa il tema centrale: lo stand è un'esposizione di gadget coi colori nazionali e la scritta "not for sale", di grande impatto.
Altri stand che mi sono rimasti in mente:
- la Giamaica presenta le gigantografie di Usain Bolt e Bob Marley e il bob coi loro colori;
- incentrati sullo sport anche gli stand di Somalia, che parla del riscatto dei giovani attraverso il calcio, in collaborazione col Como, e Repubblica Dominicana, che punta sul baseball;
- bello lo stand della Slovenia, incentrato sul turismo;
- c'è qualcuno che parla del petrolio: Timor Est;
- la Repubblica Centrafricana è forse l'unica, Ucraina a parte, che parla dei suoi problemi: deforestazione ed estinzione di specie;
- curioso lo stand del Benin, che prima parla della sua storia, omettendo che nei primi anni dopo l'indipendenza si chiamava Dahomey, poi parla delle suoi flussi turistici, senza specificare quali luoghi vengono visitati e perché, poi parla del fatto che offre la cittadinanza ai discendenti di schiavi e solo alla fine scrive "consapevoli del ruolo che abbiamo avuto nel traffico di schiavi"
Nessun commento:
Posta un commento