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E' arrivato il giorno che aspettavo almeno da una quarantina d'anni, da quando hanno trasmesso in Italia le prime partite NBA. Forse anche da prima, da quando ne sentivo parlare per il pugilato. Per la prima volta, entrerò al Madison Square Garden.
Arrivo a piedi, prima delle 11 (la partita è alle 12). Il palazzo è coperto da un cantiere: mi chiedo dove sia l'entrata, ma seguo il flusso. Passati sotto le impalcature, si vede l'ingresso del palazzo e la scritta "Madison Square Garden": l'emozione nel vederla è grande, paragonabile solo a quella che ho provato davanti alle scritte "Porte des Mosquietiers" al Roland Garros e "Letzigrund Stadion" (nel 2014, devo ancora raccontarla). Poco prima dell'ingresso c'è il primo controllo: mi preparo a mostrare il biglietto, invece vogliono vedere il certificato di vaccinazione e un documento. Dopo l'ingresso c'è un controllo al metal detector, con corsia preferenziale per chi non ha borse: noi abbiamo una borsa in quattro, ma preferiamo restare insieme.
Dopo il controllo, si entra in un foyer che mi ricorda più un teatro che un impianto sportivo. Sulla destra c'è lo store: vendono anche maglie storiche, della squadra campione 1969-70. Penso di comprare quella di Bill Bradley, ma il prezzo mi sembra un po' eccessivo ($160). Ci sono indicazioni per le tribune su entrambi i lati ed entrambe sono per "tutti i settori": scegliamo quella che, guardando la piantina nell'atrio, sembra la più vicina al nostro (e lo sarà).
Si arriva al controllo biglietti, che un po' mi preoccupava, avendo quattro biglietti su un solo cellulare (per trasferirli ci vuole l'app, che è scaricabile solo su cellulari americani). Invece, una volta capito, con l'aiuto dell'addetto, dove farli leggere, va tutto liscio. Si sale con le scale mobili, altra cosa che da noi è ancora fantascienza: mentre salgo penso a come doveva essere ai tempi degli incontri di Carnera, o di La Motta (comunque, era un altro palazzo: quello attuale fu costruito nel 1968). Siamo al secondo anello: andando verso l'ingresso, si vedono da un lato una serie continua di bagni, dall'altro stand gastronomici, tra cui uno di "arancini" (non vorrei chiamarli così, date le mie ascendenze palermitane, ma così c'era scritto).
Entrare nel recinto è un'altra emozione che per un po' mi toglie il fiato. Sono le 11,15 e c'è poca gente, che rimarrà poca fino a pochi minuti dall'inizio: 20 minuti prima ci sono ancora almeno 20 posti liberi sulla mia destra tanto che penso che abbiano fatto come in Italia, esagerando coi prezzi (i miei biglietti costavano quasi $200 l'uno, ed erano tra i più economici rimasti!) per ritrovarsi lo stadio vuoto. Invece poi si riempirà, anche se rimarranno parecchi vuoti, soprattutto nel primo anello. Verso la fine annunceranno il tutto esaurito: si vede che gli assenti erano tutti abbonati.
Il riscaldamento ufficiale comincia verso le 11,40, entrano prima i Knicks, che erano già stati ripresi nello spogliatoio, poi gli Hawks, accolti da fischi (intesi come "buu"). Devo dire che mi aspettavo un po' più di sportività dal pubblico di New York: arriveranno anche a fischiare un giocatore avversario a terra. Alle 12 si parte con gli auguri di Natale (nel basket USA l'orario di inizio indica ancora l'inizio del cerimoniale, non del gioco), poi l'inno: ai lati scorre il testo, così lo posso imparare anch'io. Quasi nessuno lo canta, anche perché è difficile seguire il cantante, che ha tempi tutti suoi.
Si parte: avvio mostruoso dei Knicks, che si portano sul 16-3 e sbaglieranno il primo tiro dal campo dopo più di 4'30". Brilla in particolare Randle, ma con l'assenza di Gallinari per il Covid, tutti i giocatori per me erano degli sconosciuti fino a pochi giorni fa, quando ho cominciato a documentarmi. Poi le percentuali calano e gli Hawks si avvicinano fino a 5 punti, che torneranno 10 alla fine del primo tempo (61-51). Alla fine del primo quarto c'è un gioco che ufficialmente era un quiz in cui si guadagnavano degli indizi realizzando dei tiri liberi, ma in realtà era un pretesto per fare una proposta di matrimonio. Nel secondo quarto in un timeout, c'è un quiz cestistico: l'ultima domanda è "chi detiene il record dei punti segnati in una partita di Natale?" La risposta è Bernard King (con 60, nel 1984), che si presenta in campo. Ricordo bene quella partita, allora il basket era lo sport che seguivo di più (all'epocai giocatori li avrei conosciuti tutti).
Nell'intervallo rimango al mio posto per seguire lo spettacolo: sono gli "Slamming' Santas". Come dice il nome, sono dei giocatori che schiacciano (con un tappeto elastico) vestiti da Babbo Natale: divertente. A metà del terzo quarto, dopo che gli Hawks si erano portati a 6 punti (65-59). i Knicks prendono il largo, fino a 20 punti, e la partita non ha più storia. Alla fine del terzo quarto mi allontano per togliermi una ginocchiera, che mi dava fastidio (la posizione non era molto comoda) e mi perdo i primi due minuti del quarto, ma ne potevo fare a meno. L'unico evento del quarto quarto sarà il raggiungimento del "trplo doppio" da parte di Kemba Walker. Nonostante il distacco enorme, si aspetteranno gli ultimi 2 minuti per far entrare le ultime riserve. Finisce 101-87.
All'usicta c'è solo un po' di ressa all'inizio, poi si scende (a piedi) in modo ordinato.. Mi allontano a piedi: stavolta non ho il problema della folla sui mezzi.
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