L'NBA va verso l'All Star Game. Adesso ha persino un canale TV dedicato: se ci fosse stato quand'ero ragazzo l'avrei guardato dalla mattina alla sera, adesso lo utilizzerò molto poco. Ho visto dal vivo due partite tra squadre NBA: Phoenix Suns-New Jersey Nets a Milano negli anni '80 e Brooklyn Nets-Toronto Raptors a New York nel 2015. Stavolta però non intendo parlare di queste, ma di un torneo tra una squadra NBA e tre europee, nel 1989.
Il torneo era co-organizzato da NBA e FIBA e sponsorizzato da McDonald's. Era un quadrangolare tra Denver Nuggets, Jugoplastika Spalato e altre due squadre che ho verificato essere Barcellona e Olimpia Milano (lo ammetto, stavolta ho violato la regola che mi sono dato quando ho cominciato a scrivere, quella di basarmi solo sulla mia memoria senza verificare). Si svolgeva a Roma, città che visitavo per la prima volta, non immaginando minimamente che otto anni dopo ci sarei andato a vivere. In quell'occasione vidi anche il Papa, per la prima e tuttora unica volta.
Arrivato al Palaeur (oggi Palalottomatica) notai subito la differenza col Palasport di San Siro, che ricordavo bene: pur essendo anche più grande, si vedeva molto meglio, non essendoci la pista di ciclismo. Il mio posto era, mi sembra, nel secondo dei tre anelli, vicino a un canestro. Poche file davanti vidi lui, Julius Erving, il mitico Doctor J, in abito da sera, in qualità di ospite d'onore (si era ritirato due anni prima).
Scesero in campo i Denver Nuggets: si videro delle belle giocato, ma fu un po' deludente, perché i titolari (le stelle erano English e Davis) rimasero in campo poco e pe la maggior parte del tempo si videro giocatori mai sentiti, che comunque si impegnarono molto, essendo in lotta per il posto in squadra. Poi però arrivo la seconda partita, quella della Jugoplastika, e lì rimasi incantato, soprattutto da Radja e Kukoc, ma anche dal resto della squadra. Anche il pubblico li incitò più degli americani. Allora per noi erano tutti giocatori jugoslavi, poi dovemmo imparare dolorosamente, che Radja e Kukoc erano croati, il centro Savic bosniaco (e serbo di etnia), altri serbi.
Due giorni dopo ci fu la finale: doveva essere una partita scontata, allora era impensabile che una squadra europea, per di più senza americani, potesse battere una squadra NBA. Qualche anno prima avevo visto una squadra mista di giocatori NBA di medio livello (a parte la stella Moses Malone) dare 19 punti all'Olimpia Milano, allora sponsorizzata Billy. Invece la Jugoplastika rimase in partita fino a 2-3 minuti dalla fine, a tratti andò addirittura in vantaggio. Si sentiva l'urlo assordante "Ju-go-pla-sti-ka, Ju-go-pla-sti-ka". Non avrei mai pensato di sentire un pubblico italiano scaldarsi così tanto per una squadra straniera: qualcosa di simile si vide l'anno dopo, ai mondiali di calcio, per il Camerun. I dalmati pagarono anche sa panchina più corta rispetto ai Nuggets: su 40 minuti, invece di 48, potendo tenere Radja e Kukoc sempre in campo, magari avrebbero vinto.
Quella squadra fantastica dominò in Europa ancora per un paio d'anni. E poi arrivò la guerra, che tutti i sogni porta via…
Arrivato al Palaeur (oggi Palalottomatica) notai subito la differenza col Palasport di San Siro, che ricordavo bene: pur essendo anche più grande, si vedeva molto meglio, non essendoci la pista di ciclismo. Il mio posto era, mi sembra, nel secondo dei tre anelli, vicino a un canestro. Poche file davanti vidi lui, Julius Erving, il mitico Doctor J, in abito da sera, in qualità di ospite d'onore (si era ritirato due anni prima).
Scesero in campo i Denver Nuggets: si videro delle belle giocato, ma fu un po' deludente, perché i titolari (le stelle erano English e Davis) rimasero in campo poco e pe la maggior parte del tempo si videro giocatori mai sentiti, che comunque si impegnarono molto, essendo in lotta per il posto in squadra. Poi però arrivo la seconda partita, quella della Jugoplastika, e lì rimasi incantato, soprattutto da Radja e Kukoc, ma anche dal resto della squadra. Anche il pubblico li incitò più degli americani. Allora per noi erano tutti giocatori jugoslavi, poi dovemmo imparare dolorosamente, che Radja e Kukoc erano croati, il centro Savic bosniaco (e serbo di etnia), altri serbi.
Due giorni dopo ci fu la finale: doveva essere una partita scontata, allora era impensabile che una squadra europea, per di più senza americani, potesse battere una squadra NBA. Qualche anno prima avevo visto una squadra mista di giocatori NBA di medio livello (a parte la stella Moses Malone) dare 19 punti all'Olimpia Milano, allora sponsorizzata Billy. Invece la Jugoplastika rimase in partita fino a 2-3 minuti dalla fine, a tratti andò addirittura in vantaggio. Si sentiva l'urlo assordante "Ju-go-pla-sti-ka, Ju-go-pla-sti-ka". Non avrei mai pensato di sentire un pubblico italiano scaldarsi così tanto per una squadra straniera: qualcosa di simile si vide l'anno dopo, ai mondiali di calcio, per il Camerun. I dalmati pagarono anche sa panchina più corta rispetto ai Nuggets: su 40 minuti, invece di 48, potendo tenere Radja e Kukoc sempre in campo, magari avrebbero vinto.
Quella squadra fantastica dominò in Europa ancora per un paio d'anni. E poi arrivò la guerra, che tutti i sogni porta via…
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