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Manca poco all’inizio dei
Mondiali di Budapest, che saranno i miei ottavi Mondiali di atletica dal vivo.
Degli ultimi due (Londra 2017 e Doha 2019) ho raccontato la mia esperienza
giorno per giorno. Ho poi parlato dei miei ricordi di Parigi 2003 (con un post specifico per la gara delle gare, l’asta maschile con l’oro di Gibilisco).
Osaka 2007 e Berlino 2009. Stavolta è il turno di Helsinki 2005.
Ero andato con mia moglie e mio
figlio di un anno (mia figlia sarebbe nata tre mesi dopo), avevamo preso un
appartamento. Lo stadio era a una ventina di minuti di tram: alla fermata
incontravamo sempre il sudafricano Van Zyl (naturalmente so il nome perché
aveva il tesserino in vista), che qualche anno dopo sarebbe diventato famoso
come manager di Pistorius. Il primo protagonista che mi viene in mente è il
maltempo: per la prima volta vidi sospendere le gare per via di un acquazzone
(la scena si ripeté l’anno dopo a Goteborg). Dovemmo restare sotto le tribune
per un bel po’, prima di riuscire a tornare a casa, dove scoprimmo che le gare
erano riprese (ma non ci pentimmo di essercene andati, era anche tardi). Altro
problema erano le lungaggini all’ingresso, tutti i giorni, ma in particolare
nella giornata clou per i locali, quella della finale del giavellotto.
Sotto la pioggia si svolsero
anche le due gare che ricordo meglio, ossia la più importante per gli italiani,
l’asta maschile (sia qualificazioni che finale) e la più importante per i
finlandesi, il giavellotto maschile. Nell’asta ero fiducioso che Gibilisco
potesse ripetere il successo di due anni prima, o quanto meno andare a medaglia,
dopo averlo visto (in TV) vincere in Coppa Europa. La quota di qualificazione
era 5,75, ma visto il maltempo e i numerosi errori, durante la gara fu
abbassata a 5,60. A quella quota c’era un atleta non ancora entrato in gara,
l’americano Stevenson, medaglia d’argento l’anno prima: solo allora fu
annunciato che non avrebbe partecipato. In tanti, compreso Gibilisco, non
superarono neanche i 5,60: per qualificarsi bastò 5,45 senza errori. In finale
ci fu la vittoria sorprendente dell’olandese Blom, che dopo essersi salvato
alla terza a 5,50 fu l’unico a superare i 5,80 in condizioni difficili. Gibilisco
arrivo quinto con 5,50 alla prima: fu una delusione, ma è sempre meglio di
quanto sia mai riuscito a fare qualsiasi altro astista italiano a Mondiali e
Olimpiadi.
Nel giavellotto ci fu la grande
sorpresa della vittoria dell’estone Varnik, che non avevo mai sentito nominare
prima, e la grande delusione del pubblico di casa, col quarto posto di
Pitkamaki. Si disputò anche una gara paralimpica, con quattro atleti che
lanciavano ognuno da quattro postazioni fisse affiancate: si vinse con poco più
di 20 metri. Era la prima volta che vedevo una gara paralimpica di un concorso.
Oltre che con un campione
mondiale uscente (che, come si sa, rimase l’ultimo fino al 2022) l’Italia si
presentava anche con due campioni olimpici in carica: Brugnetti e Baldini.
Entrambi delusero. Della gara di Brugnetti, la 20 km di marcia, svoltasi il
primo giorno, ricordo molto poco, solo la vittoria dell’ecuadoregno Perez: ho
visto che Brugnetti si ritirò. Ricordo di più della Maratona, di cui vidi solo
gli aggiornamenti dallo schermo dello stadio: si svolgeva ancora in contemporanea
con le gare su pista, con partenza e arrivo allo stadio. Gharib (campione
uscente) parte a una decina di chilometri dall’arrivo, Baldini prova a stargli
dietro e scoppia, finendo col ritirarsi: si fosse accontentato dell’argento,
magari l’avrebbe ottenuto.
Queste delusioni furono in parte
compensate dal bronzo a sorpresa nella 50 km di marcia, ad opera del ventunenne
Alex Schwazer, che non ricordo se avessi mai sentito nominare prima. Per
logica, so di aver assistito a quella gara (anch’essa in contemporanea alla
pista), ma ricordo poco o niente. Vidi invece in TV, in quanto avvenute
nell’ultima giornata, quand’ero già tornato a casa, le altre due belle sorprese,
i quinti posti di Nicola Ciotti e Zahra Bani. Il primo, che avrebbe anche
potuto essere un argento, era il miglior risultato di sempre nell’alto maschile,
tra Mondiali e Olimpiadi, e lo sarebbe rimasto fino al 2021.
Delle altre gare, ricordo lo
sprint maschile. 100 e 200 si disputavano ancora su 4 turni: Gatlin vinse i
100, da favorito. Nei 200, come l’anno prima alle Olimpiadi, Howe fece un buon
primo turno, ma poi crollò nel secondo. Ma ero soprattutto curioso di vedere il
grande assente ai Mondiali juniores dell’anno prima, dove aveva lasciato campo
libero a Howe. Era un giamaicano, si chiamava Usain Bolt: arrivò ultimo in una
finale disputata, tanto per cambiare, sotto la pioggia e vinta ancora da
Gatlin. Ricordo anche l’eptathlon, con un’altra puntata del duello
Kluft-Barber, vinto ancora dalla prima, più nettamente rispetto al 2003 e al
2006, le vittorie di Kenenisa Bekele e Tirunesh Dibaba nei 10.000 e la
doppietta 800-1500 di Ramzi, poi squalificato per doping.
Ormai ci avevo preso gusto e,
come dicevo, andai anche a Osaka e a Berlino. La mia striscia si interruppe a
Daegu 2011, che sarebbe stata molto complicata da raggiungere.
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